Tocca agli Stati vigilare sulla libertà religiosa? Un convegno a Roma
Un incontro internazionale di studiosi, ospitato dalla Chiesa di Scientology a Roma, solleva questioni di grande importanza per tutte le fedi
di Marco Respinti*
Nei Paesi totalitari e autoritari i gruppi religiosi e i singoli credenti si trovano a dovere letteralmente lottare per la propria vita, precondizione indispensabile per godere del primo dei diritti umani politici, ovvero la libertà religiosa. Invece nei Paesi democratici la libertà religiosa incontra ostacoli indiretti e si trova ad affrontate nemici più subdoli. Anche se le situazioni variano da Paese a Paese e di volta in volta, gli ostacoli al pieno godimento della libertà religiosa in luoghi in cui la libertà dovrebbe essere prassi normale presentano una serie di limitazioni, alcune più restrittive di altre, che rendono difficile ai credenti vivere pubblicamente la propria fede.
Spesso si tratta di un problema più pratico che teoretico, ma questo non significa che, primo, la libertà religiosa non incontri problemi teoretici anche nei Paesi democratici e, secondo, che la teorizzazione non sia importante. Caratteristica essenziale delle religioni è infatti la possibilità, per chi vi aderisca, di vivere liberamente la fede in pubblico e in modo organizzato.
Proprio per mettere a fuoco questo il tema attraverso una disamina attenta della situazione attuale e delle prospettive future, il 30 maggio 2024 la Chiesa di Scientology, in collaborazione con l’Osservatorio su Enti religiosi, patrimonio ecclesiastico e organizzazioni no profit dell’Università degli Studi della Campania «Luigi Vanvitelli» di Napoli, ha ospitato a Roma un convegno.
Tre i motivi principali che hanno fatto di questo incontro un evento internazionale di importanza significativa. In primo luogo, la sede. Il convegno è stato infatti ospitato dalla Chiesa di Scientology nella propria sede di Roma, risultato già questo di per sé non secondario. Perché è sempre difficile indire un convegno scientifico in una sede non neutrale. E ancora più difficile risulta farlo se quel luogo è la sede di una realtà che, come Scientology, molti ancora percepiscono, tristemente quanto falsamente, in termini di «setta». Onore al merito va qui quindi anche ai partner accademici del convegno e alla loro integrità intellettuale.
Un secondo motivo, sempre legato alla sede, è l’edificio stesso che ospita la Chiesa di Scientology in una città a volte definita «la capitale del mondo» e il centro della cristianità: Roma. Si tratta di una costruzione moderna e bella (oltre che ampia e ben attrezzata), costruita a forma di monastero dalla Congregazione dei Fratelli Cristiani, un istituto religioso maschile laico di diritto pontificio fondato in Irlanda nel 1802 e i cui membri sono comunemente noti come «Fratelli Cristiani d’Irlanda». Una serie di scandali controversi ha colpito la Congregazione alla fine del secolo XX, riducendone drasticamente il numero degli aderenti e le vocazioni, fino alla chiusura, nel 1997, della sua Casa Generalizia a Roma. La Chiesa di Scientology ne ha acquistato quindi l’edificio e nel 2009 l’ha inaugurato come luogo di culto, dopo un adattamento gradevole e conservativo dei suoi spazi, compresa la cappella. Si tratta di uno sviluppo significativo che documenta l’evoluzione del pluralismo religioso nel cuore dell’Europa, in Italia.
Un terzo motivo è l’alta qualità accademica dei relatori internazionali. Al mattino, la prima sessione, moderata da Alfonso Celotto, professore di Diritto costituzionale nell’Università Roma Tre, ha ospitato la senatrice Lorena Rios Cuéllar, già direttrice degli Affari di culto del governo della Colombia; il professor José Daniel Pelayo Olmedo, vicedirettore generale per il coordinamento e la promozione della libertà religiosa del governo di Spagna, e il dottor Gary Vachicouras, docente e amministratore degli affari accademici presso l’Istituto di studi post-laurea in Teologia ortodossa di Chambésy/Ginevra, in Svizzera. Nel pomeriggio, il professor Antonio Fuccillo, docente di Diritto ecclesiastico nell’Università degli Studi della Campania «Luigi Vanvitelli», ha moderato le due sessioni successive. La prima ha ospitato gli interventi e le comunicazioni l’avvocato ed esperto statunitense di Diritto costituzionale Austin Hepworth, del professor Juan Ferreiro Galguera, professore ordinario di Diritto ecclesiastico nell’Università di Oviedo, in Spagna, e del professor Vincent Berger, già giureconsulto della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Nella seconda sessione, articolata in due tavole rotonde, diversi relatori si sono concentrati sulla situazione italiana: la professoressa Maria D’Arienzo, docente di Diritto ecclesiastico, canonico e confessionale nell’Università «Federico II» di Napoli; il professor Gianfranco Macrì, professore ordinario di Diritto interculturale nell’Università degli Studi di Salerno; il prof. Francesco Sorvillo, docente associato di Diritto e religioni nell’Università delle Campania; il dottor Nader Akkad, consigliere per gli affari religiosi della Grande Moschea di Roma; e Madre Anastasia, consigliere giuridico della Diocesi Ortodossa Rumena. In qualità di direttore responsabile di Bitter Winter ha preso la parola anche il sottoscritto, trattando della libertà religiosa davanti ai media, amici o nemici.
Da punti differenti di vista e prospettive diverse, tutti i relatori hanno illustrato quale sia lo stato della libertà religiosa in situazioni variegate, proponendo suggerimenti sui miglioramenti possibili.
Ma una domanda fondamentale è di fatto emersa al termine del convegno. Il riconoscimento da parte di uno Stato, a livelli diversi, anche nella forma italiana delle «Intese» (o «concordati» con l’iniziale minuscola, perché la Costituzione italiana riserva il nome di Concordato solo a quello con la Chiesa Cattolica), è davvero la soluzione migliore al problema della libertà religiosa nei Paesi democratici? La libertà religiosa risiede tutta nella forma da parte di uno Stato di tanti accordi quanti sono i gruppi religiosi attivi all’interno dei propri confini? Ebbene, anche se l’ultima parola su questo tema deve certamente essere ancora pronunciata, il convegno ha offerto, con grande chiarezza, un momento di confronto e di ragionamento.
Eppure il giornalista di formazione filosofica che vive nel sottoscritto è rincasato con ancora un’altra domanda. Non si corre infatti forse il rischio che, riducendo la discussione sulla libertà religiosa alle diverse forme di riconoscimento che uno Stato possa offrire, tra cui quello italiano delle «Intese», si conferisca, implicitamente o involontariamente, allo Stato il potere di concedere ai gruppi religiosi il diritto stesso di esistere? In diversi Paesi gli Stati hanno già di fatto questo potere. La questione diventa dunque se concedere un’autorità tale a uno Stato sia moralmente e filosoficamente corretto.
Forse uno Stato dovrebbe limitarsi a vigilare sull’osservanza delle leggi (supponendole leggi giuste) da parte dei propri cittadini, a prescindere dalle loro convinzioni religiose, e lasciare dunque che i gruppi religiosi vivano e si autoregolino da soli. E di ciò si potrebbe discutere in un altro convegno.
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Versione italiana dell’articolo comparso il 7 giugno 2024 con il titolo “Should States Control Religious Liberty? A Conference in Rome” in “Bitter Winter: A Magazine on Religious Liberty and Human Rights”.
*Marco Respinti, giornalista professionista, membro dell’International Federation of Journalists, è direttore responsabile del quotidiano online “Bitter Winter: A Magazine on Religious Liberty and Human Rights” e del periodico accademico “The Journal of CESNUR”.